giovedì 29 marzo 2012

Racconti mai dimenticati dal CRAL (4): Il Ferragosto



Premessa: trattasi di una versione romanzata di avvenimenti realmente successi. I nomi dei protagonisti sono stati leggermente modificati per evitare di citare direttamente gli interessati alle vicende. Ci tengo a sottolineare che gli eventi narrati non andarono mai in maniera molto diversa da quanto ho riportato.

Il link ai capitoli precedenti di questa burla li trovate qua sotto:
1. La Nascita di Vomit

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Il respiro è affannoso, gli occhi si muovono a destra e sinistra con fare ansioso. Nascosto dietro un angolo, cerchi di non mostrare neanche un capello oltre il bordo del rifugio improvvisato perchè sai benissimo che potrebbe essere fatale e potrebbe avvantaggiare il nemico nell’individuarti. Controllare la paura non è facile, e nemmeno aiuta pensare che chi sta dall’altra parte sta provando le tue stesse sensazioni. L’arma è pesante, più di quel che dovrebbe, e la continui a guardare con ansia per esser certo che sia ancora carica e lo è ancora -certo!- e per un millesimo di secondo ti tranquillizzi. Ma è un flash perchè subito torna la paura, l’ansia di esser scoperto, il terrore di essere colpito.
Questo è il Ferragosto al Circolo.
Come tutti certamente saprete, il quindici di agosto in Italia si festeggia il Ferragosto e metà della popolazione peninsulare si getta nelle piazze, nei parchi pubblici, nelle piscine per lanciarsi addosso gavettoni, per arrampicarsi sui pali della Cuccagna o per giocare ad infinite tombolate che durano fino al mattino.
Ovviamente anche al Circolo la tradizione veniva rispettata anche se noi ragazzi, come sempre, nel corso degli anni abbiamo mano a mano travisato sempre di più la filosofia “giocosa” del Ferragosto fino a farlo diventare più simile ad un livello di Call Of Duty 3 che ad un banale scambio di gavettoni.
Già la scelta delle armi non era prettamente convenzionale; abbandonati gli scomodi e poco funzionali palloncini, vera tradizione ferragostiana ma inadatti ad una battaglia di stampo blietzkrieg (guerra lampo, ndr) dove era richiesto un grande volume di fuoco con tempi di ricarica ridotti, ed abbandonati in partenza strumenti appariscenti ma poco potenti come i fucili ad acqua, io ed il resto degli scalmanati optamo nel corso degli anni per un qualche cosa che potesse garantirci grandi quantità di acqua e praticità nel trasporto, diciamo un equivalente bellico di un bazooka. La stragrande maggioranza, o almeno quelli che poi sopravvissero negli anni ai Ferragosti del Circolo per poter tramandare testimonianze, scelsero come soluzione offensiva il cestino.
Il cestino era l’arma perfetta per quattro motivi: primo, poteva essere trasportato facilmente; secondo, la ricarica di acqua era relativamente veloce; terzo, il volume di liquido poteva essere in certi casi (cestino grosso unito a stazza muscolare notevole) davvero imponente; quarto, se scaraventato contro un povero malcapitato con il giusto slancio, il gavettone da cestino non era troppo diverso dal prendersi un muro lanciato a folle velocità preso in piena faccia. La sola differenza è che non tutti i giorni si vede un muro muoversi per venirti incontro, mentre il giorno di Ferragosto era molto, molto facile ritrovarsi nel mezzo di un conflitto a fuoco a base d'acqua -che ironia della sorte!-.
L’iter per eseguire un perfetto gavettone del Circolo è il seguente: caricare il cestino fino all’orlo in modo che contenga almeno otto o nove litri d’acqua; sollevare il cestino a mezz’altezza sorreggendo con la mano forte la base e lasciando la mano debole attaccata al bordo dell’arma per permetterne il direzionamento; rimanere nascosti dietro ad un ricovero di fortuna (alberi, muretti, ecc) in attesa della vittima che dovrà essere qualcuno che abbia appena scaricato il suo cestino e quindi inerme; uscire dal nascondiglio e prendere velocità con una corsa a brevi passi per evitare che l’acqua tracimi dal cestino durante lo scatto; scaricare tutto il contenuto del cestino contro la vittima ad una distanza massima di 2 metri, meglio se un metro, sempre in corsa in modo che il muro d’acqua impatti con la massima velocità contro l’obiettivo; sfottere ripetutamente lo sfortunato mentre rantola per terra, guardandosi comunque attorno con la coda dell’occhio per evitare di subire la stessa sorte.


Mai, mai dare le spalle ad
un potenziale nemico.



Tornando alla scelta dell’arma (il vero nodo cruciale per il guerrillero del Circolo), era di essenziale importanza appena arrivati mettersi in cerca di un cestino che si confacesse alla battaglia perchè al Circolo i cestini adatti allo scopo erano pochi e bisognava accaparrarseli rapidamente per aumentare le proprie probabilità di sopravvivenza. Esistevano tre tipi di cestini ma solo uno di questi era perfetto per il giorno di Ferragosto: era il Cilindro, un contenitore per i rifiuti che spesso di trovava negli spogliatoi, il cui pregio era quello di essere privo di fenditure o spazi vuoti, il che consentiva, ovviamente, di riempirlo fino all’orlo di acqua. Non molti riuscivano a sfruttare il pieno carico del Cilindro, che richiedeva una grande forza per poter essere trasportato una volta colmato. Ma il bello di quest’arma era la versatilità poichè anche riempito solo a metà, il Cilindro poteva contenere comunque una litratura sufficiente a gavettonare con violenza chiunque senza perdere i pregi di un trasporto maneggevole. Il Cilindro era il sogno di ogni ragazzo al Circolo, era la Ferrari di tutti i cestini.
Gli altri due modelli non erano all’altezza perchè non possedevano le doti elastiche del Cilindro, anche se comunque presentavano qualche vantaggio indubbio.
La Gabbietta era un cestino leggero che si presentava “pieno” per un terzo e reticolato in piccole fenditure come in una gabbia per i rimanenti due terzi. Ovviamente era utilizzabile solo nella parte piena il che voleva dire poca acqua trasportabile ma estrema rapidità nella corsa e nel lancio del carico.
Il suo opposto era la Tinozza, un grosso cestino dotato di maniglie ai lati che si poteva trovare a bordo campo da calcio in grado di contenere un volume di acqua devastante (almeno 40 litri direi) ma che richiedeva due paia di robuste braccia per poter essere sollevato e trasportato qua e là per il campo da battaglia. Era un’arma estremamente macchinosa ma la potenza di fuoco era indubbia, anche se solo una volta ho visto colpire un bersaglio con la Tinozza. Lo portavano a zonzo Gobbo ed Toro Nero, i muscoli tirati nello sforzo di sostenere tutta quell’acqua, anche se forse la cesta avrà contenuto poco più della metà della capacità complessiva. Ad un tratto, puntarono un ragazzo appena arrivato che dava loro le spalle, aspettando quieto il proprio turno davanti ad una fontanella per ricaricare la propria Gabbietta (i ritardatari trovano le armi peggiori, ricordate?). Ricordo perfettamente la scena, sembrò di vedere due leoni individuare una gazzella da duecento chili zoppa. Il loro sorriso famelico presagiva un disastro. Iniziarono a correre con passetti brevi, silenziosi come ninja, attenti a non sprecare neanche un goccio di liquido; quando arrivarono ad un metro e mezzo dal malcapitato, coordinandosi perfettamente lasciarono partire un missile d’acqua diretto dalla Tinozza alla schiena del ragazzo. Qualcuno grido “Attento!” e quello fece appena in tempo a girarsi, prima di ricevere il muro d’acqua addosso. Finì a terra in stato d’incoscenza, dovettero chiamare l’ambulanza per portarlo via. Dicono che quel ragazzo non si sia più ripreso dal trauma. Gobbo e Toro Nero invece ancora se la ridono soddisfatti dopo anni, come due iene.


E' una lotta senza esclusione di colpi.


Quella fu una delle immagini più cruente del Ferragosto, ma non fu certo l’unica. Ogni anno era una lotta senza quartiere per tutta l’area del Circolo, anche se esistevano zone predilette. Sicuramente i punti più caldi erano le fonti d’acqua, meglio se lontane dallo sguardo indiscreto della dirigenza del Circolo che diventava sempre più feroce nel sorvegliarci. Fin da subito il nostro terreno di scontro divenne quindi la zona beach volley che, oltre a fornire sorgenti gelide (temperatura attorno ai 5 gradi, tipo ruscello di montagna) per ricaricare in posizioni strategiche, permetteva anche ai più bastardi di gavettonare persone e poi ricoprirle di sabbia dalla testa ai piedi, facendole somigliare a delle cotolette impanate. Le ragazze, per loro sfortuna meno dotate atleticamente, dovevano spesso subire questo trattamento di “cotolettatura” e ci stramaledicevano educatamente, mentre in realtà pensavano: “Non te la darò mai, stronzo”. L’avessimo saputo forse ci sarebbero state molte meno cotolette in giro per il Circolo.
Va comunque dato onore al merito delle donne del Circolo, grandi combattenti, che raramente si tiravano indietro nell’infuriare delle battaglie del Ferragosto. Furono proprio due ragazze, Margherita e Fener, ad inventare il primo prototipo di arma batteriologica da impiegarsi durante i conflitti. Consisteva nell’aggiungere al cestito pieno d’acqua tre o quattro tipi diversi di bagnoschiuma e/o shampo. Gli effetti potevano essere atroci se il bersaglio veniva colpito negli occhi, anche se in alcuni casi se ne traevano benefici se l’obiettivo era solito evitare il sapone come un gatto randagio. In effetti non è mai stato accertato se il primo scopo delle due ragazze non fosse proprio quello di far fare una doccia a certi puzzoni del Circolo.


L'utilizzo di armi biologiche è una pratica
consolidata nel Ferragosto al Circolo.

Tornando al discorso impanatura nella sabbia, chiaramente anche gli uomini potevano subirla e seguendo la legge naturale di colpire il più debole del branco, Hashish era forse quello che ha subito più ribaltamenti nella sabbia nel corso della storia. Quello che dava più soddisfazione in assoluto era però Parmigiano, come prendere una carpa da quattro chili. Di solito lo assaltavamo in tre: io lo cingevo da dietro cercando di tenergli ferme le zampe, Gobbi lo sollevava per le gambe e, mentre lo lanciavamo nella sabbia del beach per procedere alla cotolettatura, Spacca gli riempiva i boxer da bagno di manciate di sabbia. Ora, dovete sapere che la sabbia del beachvolley del Circolo era ruvida che manco la carta vetra è così abrasiva, e si incollava ed infilava dappertutto. Dopo una impanatura con sabbia del Circolo, una doccia poteva durare dalle due alle tre ore per riuscire a levarsi di dosso tutti quei granelli.
Uno dei grossi problemi, a mio avviso, della battaglia di Ferragosto era che, nell’infuriare dello scontro, non esisteva una divisione in squadre vera e propria, anzi i tradimenti erano certi come le tasse e la morte, ed i voltagabbana proliferavano numerosi e felici come i funghi nel bosco. Ad esempio, poteva capitare che, dopo uno sguardo d’intesa con Spacca per gavettonare Parmigiano, il maledetto ti rovesciasse addosso un Cilindro zeppo di acqua ghiacciata, e mentre ti giravi per scancherare addosso all’infame t’arrivasse nella schiena pure il secchio del Parmigiano. A quel punto solitamente partiva l’urlo fantozziano da dieci secondi e si sveniva per qualche minuto.
La lotta, senza quartiere, durava solitamente poche ore, finchè i combattenti stremati non si accasciavano al suolo con i muscoli frullati dalla stanchezza, mentre i caduti in battaglia solitamente avevano preso così tanta acqua che manco quelli che eran rimasti giù dall’Arca di Noè ne avevano presa tanta. Il terreno passava dall’essere un bel pratino all’inglese al somigliare straordinariamente alle tolkeniane Paludi Morte appena fuori dalle porte di Mordor, solo disseminate di cestini mezzi sfasciati ormai inutilizzati.
Forse era anche per quello che la dirigenza ce l’aveva tanto con noi.

Un giovane alcolista a seguito di traumi
subiti durante gli scontri.

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